di Roberta Bezzi
Ph. Lidia Bagnara
L’artista ravennate Alberto Cottignoli ha esposto in tutto il mondo con il gruppo Tamenaga, firmato la scenografia di un capolavoro di Pupi Avati ed è molto apprezzato dal critico d’arte Vittorio Sgarbi.
Le sue opere hanno catturato il gruppo Tamenaga, una delle più grandi realtà internazionali per l’arte figurativa, e sono state esposte a Tokyo, Osaka, New York e Parigi. Nel 1998 ha firmato la scenografia de Il testimone dello sposo di Pupi Avati (unico film candidato italiano all’Oscar di quell’anno, selezionato nei cinque del Golden Globe e unica opera italiana scelta al Festival di Berlino), ottenendo diversi riconoscimenti personali: è nella terna vincente del David di Donatello e fra i cinque candidati per il Ciak d’Oro. Lui è il pittore ravennate Alberto Cottignoli che, sempre in quell’anno, Vittorio Sgarbi ha invitato alle mostre Surrealismo Padano a Palazzo Gotico di Reggio Emilia e Da De Chirico a Leonor Fini, pittura fantastica in Italia al Museo Revoltella di Trieste. Così scrive di lui il noto critico d’arte: “È sempre un po’ imbarazzante parlare anche per minimi cenni di Alberto Cottignoli, artista la cui fama attraversa ormai il globo dagli Stati Uniti al Giappone. Non perché sia la sia arte a provocare perplessità, tutt’altro, ma semmai le sue parole, la sua spiccata autocoscienza espressiva, le sue capacità dialettiche e argomentative.” Nel biennio 1999-2000 è presente alla Galleria Forni di Milano e Bologna, la più importante galleria italiana che tratta arte figurativa, con due esposizioni personali che gli valgono ben sei pagine sulla rivista Arte della Mondadori. Sempre Sgarbi ha presentato la sua prima mostra personale a Ravenna, alla Galleria Poggi nel 2004, e lo ha invitato alla Biennale di Venezia del 2011 e poi alla Selezione dei migliori della Biennale di Venezia al Palazzo delle Esposizioni di Torino. Oltre che come artista, Cottignoli è attivo anche come storico dell’arte e ha pubblicato numerosi testi di ricerca dedicati a grandi artisti come Leonardo, Piero della Francesca e Raffaello. Per incontrarlo a Ravenna, basta fare un giro in piazza del Popolo e fare tappa al suo quartier generale al bar Tazza d’Oro. E proprio sui muri che si affacciano in via IV Novembre, ravennati e turisti possono notare una targa con inciso Da vent’anni qui disegna Alberto Cottignoli 1999-2019.
Alberto Cottignoli, dopo la mostra Incontro a Palazzo Rasponi del 2019, può svelare qualcosa al riguardo?
“Per l’occasione, presenterò una serie di quadri dipinti con tecnica rinascimentale leonardesca in cui, per la prima volta, faccio riferimento a un volto concreto, perfettamente realistico, cioè quello magnifico della dodicenne Bea. Racconto il suo lento ma graduale distacco dall’infanzia, simbolicamente rappresentato dall’orsacchiotto Delfino che ha sempre dormito con lei e che un giorno decide di dare alla madre perché ormai grande. Per poi richiederlo indietro la settimana successiva… Questo suo tentativo di abbandonare i sogni è ben evidente nell’opera Pietà dell’orsacchiotto. Ogni quadro poi, sarà accompagnata da un testo, in modo che il visitatore possa leggere un racconto per immagini e parole.”
Oltre che come artista, Cottignoli è attivo anche come storico dell’arte e ha pubblicato numerosi testi di ricerca dedicati a grandi artisti come Leonardo, Piero della Francesca e Raffaello. Per incontrarlo a Ravenna, basta fare un giro in piazza del Popolo e fare tappa al suo quartier generale al bar Tazza d’Oro.
Al di là della bellezza che è sempre un’ottima fonte di ispirazione, cosa l’ha così profondamente colpita?
“Mi affascina questo momento di passaggio esclusivamente femminile, dalla dimensione di bambina a quella di donna, in cui avviene una cosa magnifica che negli uomini non sussiste: il trasferirsi del sogno infantile in una adulta dimensione emotivo-sentimentale, ciò che rende così bello il genere femminile, a differenza di quello maschile che si nutre quasi esclusivamente di fredda razionalità, e che tanta parte ha nella formazione dell’arte in tutte le sue manifestazioni.”
Facendo un bel salto indietro nel tempo, si ricorda quando ha cominciato a disegnare ed è stato folgorato dall’arte?
“Sono cresciuto in una famiglia di contadini, anche se probabilmente nel ramo materno c’era qualcosa di artistico anche se inespresso. Quando frequentavo il liceo scientifico, mi divertivo a realizzare vignette. Con una semplice matita, copiavo da foto, prestando grande cura ai particolari. Era un bel passatempo ma nulla di più, tant’è che poi ho proseguito gli studi e mi sono laureato in Filosofia a Bologna. Studiando i testi dei più grandi geni, ho iniziato a scrivere un ciclo di pensiero che in un secondo momento dipingevo. Impiegavo circa due o tre ore per ogni disegno attorno a cui facevo anche una cornicetta. Sul momento non mi trasmetteva niente ma il giorno dopo, riguardandolo, mi veniva la pelle d’oca. Godendo di ciò che facevo, ho capito che questo era il mio lavoro.”
Come ha mosso i primi passi?
“La prima volta che feci vedere i miei lavori a due critici, commentarono che dovevo cambiare soggetto e dedicarmi a valli e capanni da pesca. Per fortuna, anche se mi piace vedere cosa pensa la gente di me, ho sempre creduto in me stesso. Così sono andato a Roma per cercare un posto improntato sul surreale, e ho trovato la galleria Fraticelli di via Margutta.”
Durante questa sua prima personale, è stato scoperto da Kiyoshi Tamenaga con cui ha stipulato un contratto per tutta la sua produzione futura…
“Sì, il più grande gallerista al mondo, fra l’altro legato alla famiglia imperiale, comprò in un sol colpo tutti i miei nove quadri. Negli anni successivi, in base all’accordo raggiunto, ho spedito a Tokyo tutto ciò che creavo e le mie opere hanno fatto il giro del mondo. Piacevano a tal punto che sono iniziati a circolare dei falsi, delle copie a basso prezzo. Ma non sono stato mai invitato di persona e questo ha fatto sì che, dopo nove anni, il rapporto si interrompesse. Anche più di recente, negli anni Duemila, so che molte mie personali sono state organizzate per esempio a Taiwan senza che io ne sapessi nulla.”
“Pupi Avati ha definito il mio stile surreale fiabesco, ma preferisco metafisica fiabesca. Non dipingo cose a caso, sono un attento indagatore dell’umano. I sogni possono gratificare e aiutarci a superare le brutture del mondo.”
Questo delle copie che circolano senza non è un bel segnale per l’arte. Lei che è anche critico dell’arte e fresco di laurea in Storia dell’arte, come valuta la situazione attuale?
“Inutile girarci attorno, a causa del consumismo, stiamo vivendo un secondo Medioevo dell’arte che di fatto è finita con il Liberty. Il vero problema è che a un certo punto ci si è resi conto che l’arte costava troppo; così si è iniziato a spacciare per arte qualcosa che costa poco ma ha anche scarso valore. L’arte non nasce da una singola idea che può anche essere fortunata, ma è la sintesi armonica di un pensiero.”
Come ama definire il suo stile?
“Pupi Avati, che mi chiamò per esordire come scenografo dopo aver letto in mio libro, lo ha definito surreale fiabesco. Personalmente preferisco metafisica fiabesca. Non dipingo cose a caso, sono un attento indagatore dell’umano umano. La realtà purtroppo non è così meravigliosa, così i sogni possono gratificare e aiutarci a superare le brutture.”
Decisamente sono le sue agate dipinte, realizzate con un pennello a puntino. Ce n’è una a cui è più affezionato?
“Sono orgoglioso di Orchestrar le stelle, poi donata a Riccardo Muti, che rappresenta proprio il maestro mentre dirige sotto un magnifico cielo stellato.”
Articolo pubblicato su Ravenna IN Magazine n. 03/2020
Nota di rettifica: Nelle riviste cartacee di Ravenna IN Magazine n. 3/2020 , a pag. 8, si afferma che “Ravenna si appresta a celebrare l’artista e critico d’arte con una mostra al MAR nel 2022”. Precisiamo che tale mostra ad oggi non risulta programmata.